03.07.2019
Ho aspettato qualche giorno per cercare di raccogliere le idee e raccontare il mio IRONMAN FRANCE 2019, ma è ancora difficile perché le emozioni di domenica sono davvero troppe. Probabilmente questa volta il mio racconto risulterà troppo lungo, ma non posso farci niente, abbiate pazienza: è stato il mio ultimo Ironman da Pro!
Mi sono preparata per divertirmi e non soffrire troppo.
Sono arrivata 4°.
Se me l’avessero detto il giorno prima ci avrei messo la firma a occhi chiusi visto il livello delle avversarie iscritte e considerando che il mio allenamento era nettamente inferiore agli anni scorsi, non per pigrizia, ma per evitare di peggiorare alcune infiammazioni che mi porto dietro dall’incidente di un anno e mezzo fa e per non subire altri infortuni visto che non ho più vent’anni.
è uscita un’ottima gara, gestita grazie all’esperienza accumulata in tanti anni e soprattutto grazie alla mia testa dura!
Nei giorni precedenti mi sentivo serena e felice di tornare a Nizza, la città che in passato mi ha regalato grandissime soddisfazioni.
Domenica mattina però, dopo una notte tormentata da mille pensieri, mi sono alzata con lo stomaco sottosopra. Il mio subconscio era molto agitato. Non mi sono fatta prendere dal panico e Mirco mi ha aiutato a restare calma. Il fatto che la gara fosse stata accorciata a causa della calura e dell’inquinamento dell’aria mi ha certamente aiutato a vedere le cose in maniera più positiva. Dopo una colazione molto più leggera del previsto per non peggiorare la situazione, mi sono preparata come al solito: ho fatto i tatuaggi dei numeri sulle braccia, ho indossato il body, mi sono pettinata con le trecce, ho spalmato la crema solare, ho preparato le borracce e dato un’ultima controllata allo zaino per essere sicura di non dimenticare nulla, poi via verso la zona cambio. Fuori era ancora buoi pesto, ma la città era vivissima: da una parte i triatleti che scendevano verso la Promenade des Anglais, in senso opposto i ragazzi che rientravano dalla festa del sabato sera.
L’entrata in zona cambio era molto controllata: le misure di sicurezza non scherzano dopo l’attentato del 14 luglio 2016 e anche noi atleti siamo stati sottoposti al metal detector e al controllo di tutte le borse.
A parte questo dettaglio, i miei ultimi preparativi sono stati quelli di routine: ho gonfiato le ruote, sistemato le borracce, le barrette e i gel, posizionato le scarpe sui pedali e basta visto che tutto il resto era già nelle sacche consegnate il pomeriggio precedente. Poco prima delle 6 ho salutato Mirco. L’avrei rivisto qualche ora dopo lungo il percorso dove mi avrebbe aggiornato sui distacchi dalle avversarie.
Sono scesa in spiaggia da sola. Eravamo ancora in pochi e ne ho approfittato per sedermi in un angolo a guardare il mare e a cercare la maggior concentrazione possibile prima di infilarmi lo swim-suit (per noi pro la muta era vietata) e di indossare cuffia e occhialini per il riscaldamento. Il mare era piatto, il cielo ormai chiaro era limpidissimo, io avevo ritrovato la mia tranquillità e lì ho capito che ero pronta.
10’ di riscaldamento in acqua, qualche parola con Domenico Passuello e Andrea Recagno, gli altri due pro italiani al via e sono arrivate le 6.15. Gli speaker hanno invitato tutti ad uscire dall’acqua perché i Pro uomini sarebbero partiti alle 6.25. Noi donne alle 6.26 e poco dopo tutti gli altri. La tensione era palpabile, la musica sempre più adrenalinica, gli speaker bravissimi a incitare il pubblico a sostenere tutti noi atleti.
Il momento della partenza di un Ironman è uno spettacolo per chi assiste e una liberazione per chi partecipa. Io almeno lo vivo sempre così. Le prime bracciate di solito sono una bolgia, mentre questa volta non ho avuto nessun problema e ho trovato subito il mio ritmo dietro a Tine Deckers e a Manon Genet. Mi sentivo bene fino a quando non ci hanno preso i primi age-group alle fine del primo giro e ci sono letteralmente passati sopra. Ho perso contatto con Tine e Manon, ma sono riuscita a continuare a nuotare abbastanza bene. Quando sono uscita dall’acqua e ho visto che avevo nuotato in 58’ e poco più non ci volevo credere: mai nuotato così forte senza muta! La gara era decisamente iniziata bene!
La transition-zone di Nizza è lunghissima, ma sono stata veloce. Sono salita in bici e ho subito avuto buone sensazioni: effetto del gran tifo nei primi metri e anche di un leggero vento a favore. I primi 20km del percorso erano interamente pianeggianti e sono passati veloci, poi iniziava un tratto nuovo per me in quanto leggermente diverso rispetto alle altre edizioni a cui ho partecipato: una salita non troppo pendente, ma giusta per capire se le gambe fossero in grado di spingere. Come sempre mi capita, ho impostato un ritmo prudente cercando di ascoltare le sensazioni di tutto il corpo. Quando ho capito che tutto era a posto, ho scalato un rapporto e ho cominciato a pedalare con più decisione in posizione crono. Sapevo che avrei trovato Mirco e alcuni amici intorno al 30°km a Vence e quando li ho visti mi hanno dato una grandissima carica. Cominciava la parte più impegnativa del circuito e io iniziavo a godermi per davvero: la testa era carica e le gambe collaboravano. Non ho mai avuto cedimenti, neanche quando mi ha affiancato Karen Steuers. Più o meno andavamo uguale, io avevo solo un po’ di insicurezza nelle curve più tecniche in discesa, ma per il resto mi sono proprio divertita. Al 103°km di nuovo Mirco, ma era in un tratto in leggera discesa e non ho neanche sentito quello che mi ha urlato. Poco mi importava: io stavo bene e ho continuato a pedalare. Karen mi ha staccato in discesa (mannaggia), ma io non so perché per la prima volta su queste strade ho tirato i freni. Non avevo voglia di rischiare? non mi sentivo sicura? non lo so, fatto sta che in discesa sono andata davvero piano.
Mi sono un po’ preoccupata realizzando che man mano che scendevo verso il livello del mare la temperatura saliva parecchio: sembrava di avere un phon piazzato davanti. Ma si sapeva che la giornata sarebbe stata molto calda e io mi ero idratata bene durante tutta la settimana e anche durante tutta la frazione di bici, non dovevo lasciarmi prendere adesso da pensieri negativi! Una volta in pianura per gli ultimi 20km ho sentito che le gambe ne avevano ancora e mi sono rinfrancata.
In T2 mi sono presa qualche secondo in più del solito per bere e bagnarmi la testa con acqua fredda prima di calzare le scarpe da running. Sapevo che a fine gara avrei avuto le vesciche ai piedi, ma meglio posticiparle il più possibile e quindi non bagnare subito le scarpe. Ho infilato il cappellino in testa e i gel in tasca, mi sono sollevata la canotta in modo da avere la pancia nuda per sentire meno il caldo e sono partita per i 30k previsti al posto della maratona: tre giri invece di quattro lungo l’assolata Promenade des Anglais in direzione aeroporto. Il tifo lungo il primo chilometro era impressionate. Tantissima gente, tra cui mia mamma, mia sorella e alcuni cari amici, oltre ai famigliari dei miei compagni di squadra. Questo primo tratto (che poi era anche l’ultimo visto che si faceva la stessa strada all’andata e al ritorno) era bellissimo, non si sentiva neanche la fatica. Più si avanzava verso l’aeroporto più si diradavano i tifosi, purtroppo. Per fortuna che ogni due km era posizionato un ristoro e i volontari erano fantastici perché oltre a passare i bicchieri con acqua, sali, coca o gli integratori non smettevano mai di incitare tutti i concorrenti altrimenti sarebbe stata ancora più dura.
I tre giri sono stati lunghissimi, soprattutto l’ultimo. Nel secondo giro ero riuscita a superare la Steuers e a riprendermi la quarta piazza, ma verso la fine la fatica si è fatta sentire e ho cominciato a temere di essere ripresa.
Anche se ero partita per divertirmi, l’agonismo di tanti anni ha preso il sopravvento e ho stretto i denti per tenermi stretta la quarta piazza.
Solo una volta raggiunto il corridoio dell’arrivo ho mollato e ho camminato per poter gustarmi fino in fondo quella fantastica finish-line. Mia mamma mi ha passato la bandiera, ho dato un bacio a lei e uno a mia sorella, ho cercato di dare il cinque a tutti, mi sono commossa e mi sono emozionata ancora una volta. Ero distrutta, come è giusto che sia alla fine di un Ironman. Poco importa se questa volta le distanze erano più corte: vi assicuro che lo sforzo è stato pari a quello di un Ironman completo! Tutti noi atleti saremmo sicuramente stati in grado di fare quei 30km di bici e quei 12 km di corsa in più, ma questo avrebbe significato tenere occupati ambulanze, personale sanitario, protezione civile, medici del pronto soccorso che invece erano indispensabili alla città di Nizza e al suo hinterland in condizioni climatiche così estreme da diventare pericolose per le categorie più deboli della società, bambini e anziani in primo luogo.
Mi viene spontaneo fare tanti complimenti anche qui (ovviamente li ho fatti loro di persona!) a chi mi ha preceduta sul podio: Carrie Lester, Tine Deckers e Manon Genet che sono andate davvero fortissimo, ma anche a tutti i finisher di questa gara durissima.
Per me è stato emozionante accogliere sulla finish-line i miei compagni di squadra Alessandro, Giancarlo e il mio amico Marco alla loro prima esperienza sulla full-distance e l’altro mio compagno di squadra Stefano che di Ironman ne aveva già fatti, ma non è voluto mancare al mio ultimo!
Grazie a tutti: a chi mi sopporta e supporta giorno dopo giorno, alla mia famiglia, agli amici, ai compagni di squadra, ai tifosi, alla città di Nizza!